venerdì 28 maggio 2010

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Bagna caoda

Il piatto simbolo per eccellenza del Piemonte è la bagna caouda.Il nome sembra derivare dal dialetto locale, infatti bagna sta per sugo, intingolo e caoda sta per calda.Si tratta, per l'appunto, di un sugo a base di olio, aglio e acciughe che la tradizione vuole venga servito in un recipiente di terracotta detto dianet appoggiato su di un piccolo braciere definito scionfetta comune a tutti i commensali, nel quale ciascuno intinge a piacere verdure di diverso genere ma anche pane e crostini.
Sembra proprio che l'origine di questo piatto risalga al Medioevo dalla necessità di alcuni vignaioli di inventare un piatto nuovo per celebrare un momento molto importante della vita contadina, ossia la spillatura del vino nuovo. Questo piatto, dalle origini così rurali e semplici volle esser messo in contrapposizione con la gastronomia in voga a quei tempi, fatta di piatti molto sofisticati.
Certo è che non tutti gli ingredienti della bagna caoda erano di facile reperibilità a partire dall'olio, scarsamente prodotto in Piemonte, ma importato dalla vicina Liguria e dalle acciughe che, solo in quel periodo, iniziavano ad arrivare sul territorio.
Quindi sicuramente si sta parlando di un piatto festoso, che veniva consumato da tutti i commensali in un momento di intensa convivialità.
Seppur di facile preparazione, questo piatto necessità di alcune accortezze soprattutto nella scelta delle materie prime. Le acciughe, per esempio, devono essere della qualità rosse di Spagna, stagionate a lungo e appena dissalate nonché sciacquate in acqua e vino, sciacquate e diliscate. L'aglio, d'altra parte, deve essere lasciato in ammollo in acqua fredda per diverse ore, per perdere un po' del suo sapore così forte dopo aver tolto a ciascuno spicchio l'anima verde. Infine l'olio deve assolutamente essere olio extravergine d'oliva. La sua preparazione, dicevo, non è molto complicata, è sufficiente, infatti, cuocere l'aglio in olio e burro fino ad ottenere una purea bianca data dal disfacimento dell'aglio stesso. E' questo il momento d'aggiungere altro olio e le acciughe e si lascia cuocere il tutto a fuoco lento sino al disfacimento anche delle acciughe. Ecco che da questa procedura se ne ottiene un sughetto dal color marrone e dal sapore molto forte e deciso. Con cosa si mangia la bagna caoda? Anche questo è un punto che va tenuto in alta considerazione dal momento che la tradizione vuole che le verdure più adeguate siano cardi di Nizza o peperoni ma anche cavoli verdi, bianchi e rossi, cuori bianchi di insalate di scarola e indivia, porri freschi, rape bianche…insomma tutti ortaggi che non siano particolarmente aromatici. Oltre agli ortaggi è possibile degustare la bagna caoda in abbinamento a pane e a crostini ma anche a patate bianche bollite, mele, fette di polenta calda e anche uova fresche da strapazzare nella salsa che, infine, rimarrà sul fondo del coccio.



LA CUCINA TIPICA
La cucina piemontese è una cucina ricca di sapori e di storia. La varietà del territorio piemontese e del suo conseguente clima ha prodotto una differenziazione nella gastronomia delle diverse aree geografiche piemontesi.
Non solo la morfologia del territorio ha prodotto una cucina varia ma anche la presenza, nei secoli scorsi, di una popolazione suddivisa in distinte classi sociali, ecco allora che si possono differenziare una cucina più "popolana" e povera e una cucina più ricca ed elaborata.La cucina povera rispecchia in tutto e per tutto il territorio e le materie prime che questo metteva a disposizione, mentre la cucina più ricca, propria delle corti e della nobiltà, ha molte più influenze francesi, essendo stato il territorio piemontese per lungo tempo sotto il dominio sabaudo.Oggigiorno si denota un forte interesse e un'efficace promozione da parte della popolazione piemontese della cucina locale, tutto ciò si manifesta nella volontà di voler vedere riconosciuta l'alta qualità non solo di alcune materie prime ma anche di prodotti tipici quali, per esempio, il numero vastissimo di produzioni casearie.Ecco, allora, che si possono trovare nell'attuale gastronomia piemontese prodotti DOC e IGP.Nell'affrontare la vastissima gastronomia piemontese ci siamo soffermati sulle province più interessanti da questo punto di vista.














L'ARTE
Il pittore torinese Pietro Domenico Ollivero è ormai riconosciuto maestro nell'ambito della pittura bambocciante italiana della prima metà del Settecento e a lui si deve una fedele immagine della società torinese dell’epoca. Ollivero ha infatti delineato, con grazia malinconica e pensosa, con partecipe ed umana trepidazione, le folle e i luoghi della Torino settecentesca, consegnandoci una preziosa testimonianza della civiltà piemontese del suo tempo, testimonianza assolutamente primaria anche nell’ambito di studi collegati alla storia dell’arte: sulla società, sui costumi e la moda, sugli usi, i ceti e la cucina. Oggetto di approfonditi studi storici ed artistici nel corso dell’ultimo quindicennio, Ollivero ha rivelato un retroterra culturale costituito da intensi studi di pittura: soprattutto sull’arte fiamminga, che a Torino fu particolarmente gradita dalla corte e dai collezionisti privati. I molti documenti ritrovati sull’Ollivero (l’atto di nascita, l’atto di morte, il testamento e molti documenti da lui personalmente sottoscritti lo registrano con tale nome che appare pertanto quello da adottare anche ufficialmente) hanno anche permesso di ricostruire in modo abbastanza chiaro la sua non facile vicenda umana. Il pittore nasce nel 1679 a Torino da una modesta famiglia di origine ligure; viene al mondo storpio di entrambe le gambe per via di una lussazione congenita delle anche, che gli renderà per tutta la vita la deambulazione assai penosa e che lo costringerà a camminare sempre appoggiato al bastone; la malattia gli impedirà lo sviluppo degli arti inferiori trasformandolo in un nano con il corpo sviluppato normalmente e le gambe ripiegate. Nonostante la grave disgrazia, allora senza cure, e accompagnata da scarse risorse economiche, Pietro Domenico non si scoraggia; cresce di “umor lieto e gioviale” ed è fin da giovinetto assai intelligente e riflessivo. Dotato di spiccata vena ironica (gli strali delle sue invettive erano, secondo i biografi, assai penetranti), esorcizza la malattia ritraendosi in molti dipinti, a volte allegro e spensierato, a volte assorto e meditabondo, sempre però osservatore o partecipe di eventi. Precocemente inclinato alla pittura, è protetto da Vittorio Amedeo II, che lo consiglia di dedicarsi a soggetti aulici. Ollivero tuttavia preferisce aggirarsi per le strade e le piazze di Torino “piene di popolo”: “pascolo più dilettevole per la sua immaginazione” (Felice San Martino, Ozi letterari, 1787). I primi documenti di pagamento per opere artistiche eseguite per i Savoia datano 1712. Tuttavia, da recenti ricerche attualmente in fase di pubblicazione, il pittore risulta già ben attivo alla fine del Seicento, con uno stile formato ed inconfondibile: un suo dipinto firmato e datato 1698 è prossimo allo stile di Peter Van Laer, il Bamboccio. Pittore assai amato e stimato dalla Corte e dalla nobiltà piemontese, Ollivero lavora ininterrottamente fino al termine della vita (1755), realizzando una vastissima quantità di opere. Si onora dell’amicizia dei potenti di Torino: il Marchese di Ormea, primo ministro del re, non esita a chiamarlo ”amico” ed ama discutere con lui delle cose correnti per averne il “savio giudizio”; tutte le domeniche lo invita a pranzo nel suo splendido palazzo torinese, nel quale colleziona centinaia di quadri preziosi, fra cui molti proprio dell’Ollivero. Il primo pittore di corte - il raffinato e colto Claudio Francesco Beaumont (1694-1766) - lo stima e lo presenta pubblicamente come il migliore artista d’Italia nel suo genere pittorico. L’influsso di Ollivero si è esercitato durevolmente fin quasi alla fine del Settecento su molti pittori piemontesi, tuttavia pochi sono quelli di cui è provato per via documentaria un tirocinio presso di lui o comunque un rapporto diretto. Oltre a Giovanni Michele Graneri (1708-1762), lepido autore di bambocciate e di scene di vita torinese, per via documentaria è stato dimostrato che Angela Maria Pittetti (1690 circa-1763), detta Palanca, nota pittrice di bambocciate, fu sua allieva ed amica fin dal 1711.



IL PIEMONTE

LA GEOGRAFIA

Il territorio della regione è suddivisibile in 3 fasce , di cui la prevalente (e più esterna) è quella alpina ed appenninica (ben il 43,3% del territorio regionale); al suo interno vi è la zona collinare (30,3% del territorio), la quale racchiude la zona pianeggiante (26,4% del territorio).Nella regione scorrono moltissimi fiumi e torrenti, tutti affluenti del fiume Po, il più lungo d'Italia, che nasce al Pian del Re ai piedi del Monviso.Le principali catene montuose sono le Alpi, che circondano la regione ad ovest e nord, e gli Appennini che, situati a confine con Liguria ed Emilia-Romagna formano così un confine naturale.
Piemonte significa ai piedi del monte(pedemontium), cosi definito perché circondato su tre lati dalle montagne delle Alpi Occidentali e dell'Appennino Ligure. La montagna piemontese ha un aspetto imponente ed aspro: infatti le sommità al di sopra dei tremila metri scendono rapidamente verso la pianura. La sua caratteristica, nella zona occidentale della region
e, è infatti di essere priva di prealpi come tutte le altre regioni alpine. Da ciò deriva il toponimo Piemonte che significa appunto "al piede dei monti". Al di sotto delle rocce e dei pascoli ci sono ampie estensioni di boschi: le conifere sono meno diffuse che in altre sezioni delle Alpi e lasciano presto il posto a faggeti e castagneti. In questa fascia sono presenti le più alte cime della regione, che superano i 4000 m: la Punta Nordend, la seconda cima più alta del massiccio del Monte Rosa, ed il Gran Paradiso; vi sono poi numerose cime che superano i 3000 m, tra cui il Monviso, il Rocciamelone e l'Uia di Ciamarella.Nelle valli ci sono impronte dell'attività umana e costituiscono importanti vie di comunicazione internazionali stradali e ferroviarie. Nelle valli minori si trovano dighe, impianti idroelettrici e centri turistici

LA STORIA

Abitato fin dall'età neolitica, dopo lo scioglimento dei ghiacci in alta Val Padana, nel I millennio a.C. fu occupato dalle popolazioni celtiche o liguri dei Taurini e dei Salassi, successivamente sottomessi dai Romani (220 a.C.), che fondarono colonie come Augusta Taurinorum (l'odierna Torino) ed Eporedia (Ivrea). Dopo la crisi della parte occidentale dell'impero la regione divenne sede d'incursioni, scontri e conquiste da parte di Odoacre, dei burgundi, dei goti (V secolo d.C.), dei bizantini, dei longobardi (VI secolo), dei franchi (773), conservando però una certa autonomia. Nel IX e X secolo subì le nuove incursioni degli ungari e dei saraceni che distrussero, fra l'altro, l'Abbazia di Novalesa in Val di Susa. Amministrativamente divisa in contee e marche, fu in parte riunificata nell'XI secolo da Olderico Manfredi, che ottenne le due importanti marche di Torino e Ivrea e le lasciò in eredità al genero Oddone di Savoia, figlio di Umberto I Biancamano. Il processo di riunificazione del Piemonte sotto i Savoia richiese diversi secoli, dapprima per la formazione di comuni autonomi, come Asti e Alessandria (XII secolo), e forti marchesati, come quelli di Saluzzo (XI secolo) e del Monferrato (XII secolo); poi per l'intervento di potenti signori esterni, come i Visconti (XIV secolo); infine per il coinvolgimento della regione nelle lotte fra gli Asburgo e i Valois per l'egemonia in Italia e in Europa (XVI secolo). Solo dopo la pace di Cateau-Cambrésis (1559) Emanuele Filiberto e i suoi successori poterono avviare il processo di definitiva riunificazione, ultimato nel 1748 con la pace di Aquisgrana.Dopo la parentesi della dominazione napoleonica (1796-1814), il Piemonte seguì i destini del Regno di Sardegna ed ebbe un ruolo centrale nel Risorgimento italiano e nella costruzione del nuovo stato unitario (1861), che ne derivò la struttura giuridica e politica (Statuto Albertino del 1848) e il personale amministrativo, in quel processo che fu definito di "piemontesizzazione" dello stato. Nei momenti più critici o di transizione della storia nazionale, il Piemonte diede importanti contributi come "laboratorio" politico e sociale, con gli scioperi operai nelle guerre mondiali (nel 1917 e nel 1943), le esperienze torinesi di Gramsci e Piero Gobetti (anni venti), l'intensa partecipazione alla Resistenza (1943-45), l'industrialismo innovativo di Adriano Olivetti (anni cinquanta), la stagione di lotte dell'autunno caldo (1969). Imponente fu l'industrializzazione della regione, che dalla struttura agraria tradizionale del regno sabaudo, fondata sull'egemonia dei ceti burocratici e militari e dell'aristocrazia fondiaria, seppe avviare, a partire dall'età cavouriana (1852-61), un rapido processo di modernizzazione fino a diventare, all'inizio del Novecento, un'area rilevante del triangolo industriale che trainò il decollo economico italiano. Non mancarono, nel rapido sviluppo, gli squilibri, soprattutto territoriali, tra l'area del torinese, sede principale dell'industrializzazione, e l'economia ancora prevalentemente rurale del resto della regione. Il tessuto economico, in cui ebbe un posto proponderante la FIAT, attrasse negli anni cinquanta e sessanta un grande flusso migratorio, che provocò profonde trasformazioni sociali e culturali; si dimostrò, invece, piuttosto fragile di fronte alle sfide della mondializzazione di fine secolo, che pagò con un certo declino industriale e un alto tasso di disoccupazione.

LO STEMMA PIEMONTESE E LA SUA BANDIERA

Lo Stemma della Regione Piemonte ha forma quadrata, con croce d'argento in campo rossospezzata da lambello azzurro a tre gocce. Di fatto è stato ripreso l'antico stemma subalpino, risalente al 1424. Il Gonfalone si presenta interzato in fascia: nel primo di rosso, nel secondo di blu, nel terzo d'arancio, colori della Repubblica d'Alba, proclamata il 25 aprile 1796, sul tutto lo stemma del Piemonte.Il Drapò ("bandiera" in piemontese, cognato del francese drapeau e dell'italiano drappo) è la bandiera ufficiale della Regione Piemonte. È simile allo Stemma, se ne distingue per la forma rettangolare e per la presenza della frangia oro e della bordura azzurra.

LE LINGUE

Il piemonte vanta una ricchezza linguistica invidiabile, ma non spesso riconosciuta. A parte l'italiano, che è la lingua più diffusa tra la popolazione, nel territorio sono riconosciute dalla Regione con la legge regionale del 9 aprile 1990Piemontees, parlato da circa 2 milioni di persone, l'Occitano parlato nelle vallate occitane di Cuneo, Val Chisone e Germanasca e Alta Val Susa, il Francoprovenzano parlato in media/bassa Val Susa, in Val Sangone e Val di Lanzo; il Francese parlato principalmente in Alta val Susan val Pellice e il walser, parlato a nord al confine con la Svizzera e con la Valle d'Aosta. Queste lingue, dopo anni di oppressione a favore dell'italiano, stanno cercando di rivalorizzarsi attraverso progettazioni di enti pubblici, associazioni e gruppi folcloristici. Occitano, Francoprovenzale, Francese e Walser sono riconosciute come lingue minoritarie piemontesi e tutelate dalla legge 482/98. e ben cinque lingue storiche del Piemonte.

Demografia

Il Piemonte ha registrato dagli anni settanta una perdita di popolazione dovuta a un calo della natalità non più compensato, come negli anni cinquanta-sessanta, da immigrazioni dal resto d'Italia ed in particolare dal Sud e dal Veneto. Tuttavia negli ultimi anni si è registrata una ripresa demografica, dovuta soprattutto alla nuova immigrazione dall'Europa centro-orientale. Le densità di insediamento più elevate si registrano nelle aree urbane industrializzate dell'alta pianura, specialmente nella provincia di Torino (52% della popolazione regionale, con una densità doppia rispetto a quella media). Nel 2008 i nati sono stati 39.551, i morti 49.310, con un incremento naturale di -9.759 unità rispetto al 2007. Al 31 dicembre 2007, su una popolazione di 4.401.266 abitanti, si contavano 310.543 stranieri. Le famiglie contano in media 2,2 componenti